Titolo: La rivoluzione culturale del microbiota passa dal latte materno (2017)
Autore: Enzo Grossi
Info: Newsletter Villa Santa Maria dicembre 2017
Titolo: The never-ending fight between the outlier and the average. Brief essay (2017)
Autore: Enzo Grossi
Info: Working paper ResearchGate https://www.researchgate.net/profile/Enzo_Grossi/?ev=hdr_xprf
We have always to think that, despite progress offered by statistical techniques, when facing groups of patients we still have to do with just many single cases.
Each single case deserves to be studied a part, since every subject offer some specificity in contrast to what happens with average data. Some questions arise:
So, should we still believe possible developing a new science which we could named “ statistics of the single individual”? Is the mathematics used in medicine what it should be? What kind of mathematics should we grasp in order to achieve this?
It appears that the traditional mathematical and philosophical approach is going to fail in this regard.
Non linearity, complexity, fuzzy interaction are emerging features of chronic degenerative diseases which account now for most morbidity and mortality in western world. Unfortunately most current statistical methods have been developed in the first half of the past century when the scenario was dominated by acute infective diseases and the available information was much more limited. Physician faced “complicated” rather than “complex” problems in comparison with today.
So, we should start to systematically address the analyses of our non-linear and complex systems with a different kind of approach, reminding ourselves that nowadays research and practice in medicine, diagnosis and therapy have become formidable due to the contribution of physics with all its complex mathematics behind.
Titolo: La bellezza come metodo: insight dalla ricerca (2016)
Autore: Enzo Grossi
Info: Newsletter Villa Santa Maria n.26 (Novembre)
Villa Santa Maria rafforza la propria collaborazione con l’Istituto di Gestalt. Lo scorso 3 novembre il Centro ha infatti partecipato al seminario di studio sull’autismo organizzato a Milano dall’Istituto, con un intervento del professor Enzo Grossi, direttore scientifico di Villa Santa Maria, sul tema della bellezza e dei suoi effetti positivi sulla salute e sul benessere delle persone.
Il contributo, del quale riportiamo di seguito un estratto, è stato molto apprezzato dai medici e dagli specialisti presenti.
LA BELLEZZA COME METODO: INSIGHT DALLA RICERCA
Parlare di bellezza in un mondo dominato dall’economia e dalla finanza può, da un certo punto di vista, far sorridere. In effetti, della bellezza si sono occupati prevalentemente filosofi e scrittori. Da Platone a Sant’Agostino fino ad arrivare a Hume, il quale anticipava qualcosa che oggi si ritiene sia vero, cioè che la bellezza è già insita nel nostro cervello, sino a Dostoevskij con la sua celebre affermazione “ la bellezza salverà il mondo”.
A livello scientifico, invece, l’interesse su questo argomento si è manifestato molto più tardivamente. È emblematico quanto avvenuto nel 2015, quando l’autorevole rivista Nature ha pubblicato un numero monografico intitolato “Beauty” dedicato completamente al tema della bellezza. Questo significa che il concetto anticipato da Hume e Goethe ha in realtà un notevole spessore anche dal punto di vista scientifico, come è stato ribadito anche nell’ambito di un convegno che si è tenuto a Pisa lo scorso anno sul tema della Ricerca della bellezza e della bellezza della ricerca.
L’interesse per la bellezza da parte degli scienziati è iniziato in campo fisico-matematico. Paul Dirac, uno dei più grandi fisici matematici quantistici, riuscì a conciliare in un’equazione, ritenuta la più bella mai descritta, la Teoria della relatività di Albert Einstein con le teorie della meccanica quantistica. Ebbene, Dirac introduce l’idea che le leggi fondamentali della natura debbano essere necessariamente espresse da teorie matematicamente belle.
“C’è solo una roccia che può sopravvivere a ogni tempesta e alla quale ci possiamo aggrappare strettamente: l’idea che le leggi fondamentali della Natura siano espresse da una teoria matematicamente bella”.
Mai, prima di lui, il ruolo della bellezza era stato così centrale nella storia dell’impresa scientifica. Come scrive Freeman Dyson: “Perché un elettrone dovrebbe preferire un’equazione bella a una brutta? Perché l’universo dovrebbe danzare sulla musica di Dirac? Con il suo stile di scoperta, Dirac ha formulato queste domande in maniera più nitida di chiunque altro. Ancor più di Newton e Einstein, egli usò il criterio di bellezza come un modo per trovare la verità”.
Perché la bellezza e l’arte hanno avuto in tutte le società una presenza così rilevante?
Perché sin dai tempi antichi l’uomo ha desiderato essere circondato dalla bellezza?
Perché attribuiamo tanto “valore” (culturale, sociale, economico) al possesso e alla fruizione di un prodotto “bello”?
Quali sono le basi biologiche di questo “valore”?
Queste sono alcune delle domande a cui la scienza moderna e, in particolare le neuroscienze, ha cercato di dare una risposta.
Se la bellezza e l’arte hanno avuto fin dai tempi più antichi un peso e una presenza così rilevante, tanto che l’uomo fin da quando viveva precariamente nelle caverne ha sentito il bisogno di circondarsi di disegni estetici e che dopo i terremoti di quest’anno tutto il mondo si sta preoccupando delle perdite subite dal nostro patrimonio artistico, è perché questo valore ha delle basi biologiche, da parte del nostro DNA.
La risonanza magnetica ha infatti evidenziato che ci sono delle aree del cervello che vengono attivate specificamente dallo stimolo della bellezza. Si tratta della corteccia orbito frontale, chiamata “centro della bellezza” dal neuro scienziato Samir Zeki, a cui si deve il conio del termine “neuroestetica”. Oggi sappiamo che questa area cerebrale, una delle poche che differenzia l’homo sapiens dallo scimpanzé, è anche coinvolta nella percezione di felicità e nel controllo dei fenomeni legati allo stress.
Ma il paradigma bello è buono vale anche per i soggetti affetti da autismo? Uno studio fatto proprio in questo ambito ha dimostrato che i giudizi sulle bellezza nei bambini autistici coincidono con quelli dei bambini a sviluppo tipico, ovvero anche nell’autismo il senso della bellezza viene conservato. Questo è un punto importante per quello che vedremo in seguito.
Gli studi sullo stress hanno dimostrato che lo stress cronico, provoca la liberazione dalla ghiandola surrenalica del cortisolo, l’ormone dello stress, che se permane a lungo in concentrazioni elevate provoca conseguenze dannose a vari livelli: un danno neuronale, al quale sono legati fenomeni come l’Alzheimer, la depressione e anche l’autismo, uno stato di immunodepressione che predispone al cancro e a malattie infiammatorie, e altri fenomeni complessi che contribuiscono alla riduzione della longevità.
Molte ricerche condotte negli ultimi 20 anni dimostrano del resto che chi è esposto a stimoli della bellezza, quali quelli offerti da arte e dalla partecipazione culturale, e chi vive in un ambiente arricchito ha una vita più lunga ed è protetto da malattie croniche degenerative.
Nell’ambito dell’autismo lo stress è un elemento che è rimasto ai margini per molto tempo ma di cui oggi si parla molto per il fatto che entra in gioco pesantemente a vari livelli, sia come fattore predisponente quando agisce sulla madre nel periodo dello sviluppo fetale del nascituro, sia come fattore presente durante la vita del bambino e adolescente autistico, sia come accompagnatore della vita dei familiari di questo soggetto. Ad alcuni di questi temi tema la ricerca condotta Villa Santa Maria ha dato contributi importanti.
Che lo stress sia al centro della vita della persone affette da autismo, e che questi pazienti siano particolarmente vulnerabili rispetto allo stress, è stato dimostrato da molti studi condotti negli ultimi anni come quelli che hanno riscontrato un aumento dei livelli di cortisolo e neurotensina, un pepdide in grado di provocare neuroinfiammazione, nei soggetti affetti da autismo.
Se lo stress è un vero e proprio veleno sia per le persone sane sia per quelle affette da malattie neurodegenerative, la grande notizia è che un’opera d’arte è in grado di ridurlo notevolmente. In un esperimento che ha avuto ampia eco nella stampa di quest’anno, cento volontari sono stati studiati prima e dopo una salita alla cupola di Vicoforte, un santuario vicino a Mondovì, riscontrando che questa esperienza particolare (la cupola ha degli affreschi splendidi e consente una prospettiva mozzafiato) produce una notevole percezione di benessere accompagnata da una diminuzione dei livelli di cortisolo nella saliva. D’altra parte, già si sapeva che anche la bella musica agisce sui biomarker dello stress riducendo i livelli di cortisolo, a riprova del fatto che l’esposizione al bello agisce in maniera generalizzata e positiva nei confronti dello stress.
Che l’arte possa farci star meglio è poi cosa che è stata documentata in altri studi epidemiologici, come quello promosso dalla Fondazione Bracco nella città di Milano, studio in cui la frequentazione dei musei si è dimostrata in grado di influenzare positivamente lo stato di wellbeing della popolazione generale.
Musei e gallerie dell’arte, guarda caso, in molte parti del mondo stanno diventando partner per interventi di salute pubblica. Il Guggenheim e il MET a Manhattan aprono le proprie stanze ai bambini autistici nel giorno di chiusura, e molti altri musei anche in Italia hanno programmi specifici dedicati ad esempio ai malati di Alzheimer. A Villa Santa Maria abbiamo avuto la possibilità di documentare un aumento della sensazione di benessere in un gruppo di nostri bambini dopo la visita al Museo Egizio di Torino che ha gentilmente offerto un’assistenza particolare.
Non sorprende quindi l’esistenza in letteratura di molte testimonianze dell’uso dell’art therapy nell’autismo, come ad esempio la teatro terapia (che si usa molto anche nel nostro istituto) e che si coniuga molto bene con diverse teorie psicologiche, psicodinamiche e psico-estetiche che prevedono di utilizzare l’arte come intervento precoce e di prevenzione. Sui risultati e sulle evidenze scientifiche siamo tuttavia ancora agli inizi. Gli studi fatti in maniera rigorosa sono ancora pochi, anche se tutti ci dicono che qualcosa di positivo avviene: migliorano sia i punteggi di tipo comportamentale, sia gli indici di iperattività.
In conclusione, da un lato l’esposizione alla bellezza sembra ridurre le conseguenze negative dello stress cronico e migliorare il wellbeing. Dall’altro abbiamo delle evidenze che ci dicono che i soggetti affetti da autismo conservano la capacità di apprezzare la bellezza. Nel contempo sappiamo anche che sono particolarmente esposti allo stress cronico.
La conseguenza logica è che l’art therapy va riconsiderata come un elemento importante nella gestione dell’autismo, sia perché migliora la qualità della vita di questi soggetti, sia perché potrebbe attenuare i danni neurologici legati allo stress cronico.
Titolo: Salute dentale, educazione e salute (2016)
Autore: Enzo Grossi
Info: Newsletter Villa Santa Maria n.22 (Marzo)
La carie nei bambini e la paradontite nell’adulto contrassegnano la cattiva salute dell’apparato buccale e predispongono a compromissioni sistemiche. L’educazione può prevenirle e va perseguita sin dalla prima infanzia. Questo è il messaggio emergente da uno degli eventi scientifici tenutosi in Padiglione Italia nello scorso EXPO 2015, su un tema che è particolarmente delicato per i soggetti con disabilità mentale.
Malattia paradontale e predisposizione a malattie sistemiche
Per malattia paradontale si intende una malattia infiammatoria provocata dai microrganismi della placca batterica che colpisce il parodonto, cioè l’insieme di strutture che circondano il dente e lo mantengono saldamente attaccato all’osso. Se non curata, l’infezione procede in profondità: la gengiva si allontana dal dente, si creano tasche in cui i batteri si accumulano e proliferano; il tessuto osseo viene distrutto; i denti perdono supporto e diventano mobili fino a staccarsi completamente dall’osso.
La malattia parodontale è un fenomeno ubiquitario. Per quanto riguarda il nostro paese secondo i dati pubblicati dalla Società Italiana di Parodontologia emerge che in Italia il 60-70% degli adulti ne risulta affetto, e che di questi il 10-14% ha una forma di malattia grave ed avanzata. L’aumento dell’incidenza è drastico nell’intervallo di età compreso tra i 35 ed i 44 anni anche se nel 7-8% dei casi la malattia compare in età giovanile. L’elevata concentrazione di batteri “cattivi” ( patogeni) nelle lesioni parodontali provoca episodi di entrata in circolo degli stessi (batteriemia) con immissione in circolo di tossine, responsabili di fenomeni infiammatori sistemici e di conseguenze negative sulla salute dell’intero organismo.
Dal momento che la presenza di un’infiammazione cronica costante si è rivelata una condizione predisponente all’insorgenza o all’aggravamento di molte malattie croniche degenerative anche gravi come il diabete, la malattia aterosclerotica e la malattia di Alzheimer, l’interesse del mondo medico sui rapporti tra salute dentale e malattie sistemiche si è notevolmente accresciuto negli ultimi anni.
È opinione diffusa che contro questa malattia, un tempo chiamata piorrea, vi sia poco da fare e che sia normale esserne affetti se ne hanno sofferto i propri genitori. In realtà i disturbi delle gengive e dell’osso sottostante possono essere prevenuti e controllati. E’ questo l’importante spazio della prevenzione che deve basarsi su una appropriata educazione alla igiene orale a partire dall’infanzia e dall’adolescenza.
Qual è lo stato di salute dentale dei bambini italiani? In generale, lo stato di salute orale dei bambini in età scolare in Italia sembra soddisfacente. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanita (OMS), infatti, la frequenza di carie, che rappresenta il biomarker paradigmatico della salute orale nei bambini, è in linea con quella riscontrata in altri grandi Paesi europei, quali Germania, Francia, Paesi scandinavi e Regno Unito.
Essere in linea con gli altri paesi occidentali è in realtà una magra consolazione dal momento che la frequenza del fenomeno è in termini assoluti piuttosto impressionante con tassi di prevalenza a 12 anni che oscillano tra il 40 e 60 %.
Un altro elemento che preoccupa attualmente sono le profonde disuguaglianze tra differenti strati sociali. Già da tempo infatti nei paesi europei più evoluti che attuano politiche nazionali di controllo della carie nei bambini in età scolare è stato osservato che vi sono profonde differenze tra bambini di famiglie benestanti e quelli di famiglie disagiate. Queste ultime si trovano in condizioni identiche, se non addirittura peggiori, rispetto a quelle della popolazione generale risalenti agli anni Settanta e che resero necessari i primi programmi di prevenzione della carie a livello nazionale.
Solo per fare alcuni esempi riguardanti i bambini di 3-5 anni, a Roma i bambini provenienti dalle classi sociali più basse hanno oltre la metà di tutti i denti cariati della popolazione infantile, mentre nel Veneto i bambini delle famiglie di immigrati con almeno una carie sono 3 volte più numerosi che nelle famiglie italiane. In Italia il basso ceto socioeconomico e lo status di immigrato sono le due caratteristiche maggiormente associate alla carie in questo gruppo di età.
E’ possibile prevenire? La risposta a questa domanda è un sonoro sì. L’igiene orale è alla base di una corretta prevenzione della carie, anche in quelle condizioni in cui si presuppone che essa possa essere un processo inevitabile legato a fattori genetici. Agire efficacemente con una corretta e quotidiana pulizia dei denti, riduce la frequenza dei processi cariosi sui denti e nella bocca in qualsiasi tipo di situazione.
In età prescolare la responsabilità è ovviamente data ai genitori. Un consiglio che le Società Scientifiche danno ai genitori per mantenere privi di carie i denti da latte e in dentizione mista dei propri figli è quello di evitare l’assunzione frequente di zuccheri adesivi, quelli cioè quegli zuccheri che sono tipicamente contenuti nei leccalecca, nel cioccolato o nella marmellata. Gli zuccheri adesivi sono quelli più cariogenici perché sono quelli che rimangono più a lungo a contatto con la superficie dello smalto dei denti attaccandosi facilmente a questi ultimi. Il più classico dei casi è la merenda che molte mamme preparano ai propri figli: la fetta di pane con crema di nocciola o marmellata. Un mix pericoloso per i denti in assenza di una tempestiva pulizia postprandiale.
Il consiglio a tutti i genitori è quello di pulire i denti dei bambini, anche in un’età così precoce, quindi tra i 3 e i 5 anni, quando i denti sono ancora tutti da latte, con lo spazzolino con o senza dentifricio. Molto efficace risulta esser lo spazzolino elettrico per bambini, perché riesce a pulire più rapidamente i denti di quanto possa fare un normale spazzolino in mano ai genitori.
La salute dei denti, oltre che da una buona igiene orale, dipende anche da cosa si mangia perché i cibi possono alterare i livelli di acidità e la quantità di zuccheri presenti nella saliva.
Latte, formaggio e frutta secca aiutano a contrastare le carie mentre le bevande dolci, gli agrumi e anche i cereali possono favorirne l’insorgenza.
In età scolare risulta fondamentale l’intervento educativo diretto sul bambino.
Nel caso di disabilità mentale e in particolare di autismo, le cose ovviamente si complicano.
I pazienti autistici non riescono a gestire in maniera sufficiente l’igiene orale, ciò comporta l’aumento dell’esposizione al rischio di sviluppo di malattie del cavo orale, potenzialmente aggravata dall’assunzione di alcuni farmaci. L’incapacità di comunicare dolore e la scarsa collaborazione costringe la gestione dei casi acuti in urgenza, con bonifica del cavo orale in anestesia generale, presso strutture sanitarie convenzionate sul territorio.
Recentemente Villa Santa Maria ha promosso uno studio sistematico della situazione di salute dentale dei piccoli pazienti ospitati nell’Istituto con la collaborazione dell’equipe di igieniste dentali diretta dal prof. Levrini dell’Università Insubria.
Ci sono pochi studi che descrivono salute orale e dentale bisogni dei bambini con autismo. che hanno oltretutto mostrato risultati contraddittori. Nessuno studio era stato finora realizzata in Italia. L’osservazione accurata di 31 soggetti affetti da autismo residenti in Villa Santa Maria ha permesso di verificare che di collaborazione all’esame professionale del cavo orale nonostante l’handicap era soddisfacente. Come ci si aspettava, lo stato di igiene orale era caratterizzato da una elevata prevalenza di gengivite, presente nel 70% dei casi, non proporzionale peraltro alla gravità della malattia. La prevalenza di carie è risultata del 35%, dato questo inferiore al tasso medio riscontrabile nella popolazione normale di questa fascia di età. Questi dati saranno presentati al prossimo congresso mondiale sull’autismo che si terrà a Baltimora nel maggio di quest’anno. L’accettazione di questo contributo testimonia l’importanza di questo studio e riempie di orgoglio l’equipe che si è generosamente impegnata in questa difficile rilevazione.
Titolo: L’Epigenetica, ovvero come il film della nostra vita dipende dal regista più che dalla sceneggiatura. (2016)
Autore: Enzo Grossi
Info: Newsletter Villa Santa Maria n.22 (Marzo)
Come sappiamo le cellule, ovvero le unità di lavoro fondamentali di ogni essere umano contengono tutte le istruzioni necessarie per dirigere le loro attività all'interno della sequenza del DNA, il codice genetico di un individuo.
Quello che sino a pochi anni fa era ritenuto un dogma centrale in biologia, ovvero che le informazioni ereditarie fossero trasmesse unicamente attraverso meccanismi genetici è stato sconfessato dall’epigenetica, una nuova scienza che studia la trasmissione di caratteri ereditari non riconducibili alla sequenza di DNA.
Il termine “epigenetica, esplicitamente ripreso da Aristotele, significa appunto sopra la genetica, e descrive qui fenomeni che portano dal genotipo, ovvero dal patrimonio genetico, al fenotipo, cioè all’individuo vivente nel suo concreto. Come aveva già intuito Condard Waddington, prima ancora della scoperta del DNA come sorgente dei geni, lungo le generazioni una cellula scambia con le cellule figlie anche informazioni non contenute nella sequenza di basi del DNA e che determinano lo stato di attivazione dei vari geni.
In termini semplificati, l’epigenetica è quindi lo studio dei meccanismi biologici che rendono attivi o spenti i nostri geni. Una sorta di interruttore “on – off”.
E’ utile ricordare che il DNA umano contenuto nei cromosomi è costituito da circa 3 miliardi basi nucleotidiche (adenina, citosina, guanina, timina) comunemente abbreviate come A, C, G e T, rispettivamente la cui sequenza, o ordine, determina le nostre istruzioni vitali. Curiosamente, basta meno dell’ 1 per cento di DNA, vale a dire 15 milioni di basi, per renderci diversi da uno scimpanzé. I 20.000 geni contenuti nei tre miliardi di basi sono sequenze specifiche di A,C,G e T che forniscono le istruzioni su come fare importanti proteine - molecole complesse che attivano diverse azioni biologiche per svolgere funzioni vitali.
Noi ci stupiamo del fatto che le nostre cellule pur avendo tutte lo stesso DNA, possono differire tra di loro enormemente: basta mettere a confronto i neuroni, le cellule del fegato, le cellule pancreatiche, le cellule del sangue solo per fare pochi esempi. La spiegazione di questo fatto sorprendenete sta proprio nell’epigenetica. In effetti nel nostro organismo le cellule, i tessuti e gli organi differiscono tra di loro proprio perché hanno certi insiemi di geni che sono "accesi" o espressi, così come altre serie di geni che sono "spenti", o inibiti.
Possiamo pensare al cromosoma come un libro che ha un testo completo e corretto (la sequenza di basi), ma in cui fattori esterni al "testo", come l'incollamento di alcune pagine tra loro, non permette l’accesso alle informazioni contenute nel testo stesso.
L’epigenetica è il complesso di questi fenomeni ed è il meccanismo che rende con il tempo diversi anche due gemelli monocoriali. Ciò che si mangia, l’ambiente in cui si vive, come ci si muove, con chi si interagisce, come si invecchia, tutto questo può produrre modificazioni chimiche intorno ai geni che determineranno il loro stato “on – off” nel corso del tempo. L'epigenetica ci rende quindi unici. Anche se siamo tutti esseri umani, perché alcuni di noi hanno i capelli biondi o la pelle scura? Perché alcuni di noi piace il sapore di funghi o di melanzane? Perché alcuni di noi più socievole di altri? Le diverse combinazioni di geni che sono attivati o disattivati sono ciò che rende ognuno di noi unico. Lo schema che imposta questi cambiamenti epigenetici viene trasmesso insieme ai geni dai genitori ai figli ed è quindi ereditabile, anche se con meccanismi molto complessi, non ancora del tutto chiari, in cui uno dei due genitori può avere la predominanza rispetto all’altro (il cosiddetto imprinting genetico) e in cui si può verificare un salto generazionale ( la nonna influenza il nipote e non il figlio).
Che le criticità della vita dei genitori e dei nonni possano influenzare il destino di figli e nipoti è una scoperta che si deve ad uno scienziato inglese prematuramente scomparso: David Barker, un epidemiologo di Southampton. Negli anni ’90 Barker nota una strana associazione geografica: le aree più povere del Galles con più alti tassi di mortalità infantile sono anche quelle con tassi più elevati di infarto. Analizzando i registri anagrafici scopre che il basso peso alla nascita è un fattore di rischio elevato per diabete e malattie cardiovascolari nella vita adulta. Barker formula l’ipotesi che uno stress fetale, legato ad esempio a sotto nutrizione, può non solo determinare la suscettibilità a malattie croniche degenerative nella vita adulta, ma anche trasmettersi a future generazioni come tratto alterato di programmazione genetica.
Gli individui esposti a carestia in utero hanno un aumento della prevalenza delle malattie cardiovascolari, diabete, l'obesità e cancro. Evidenze sperimentali indicano che i tratti di salute, che sono state indotte da insulti ambientali durante lo sviluppo iniziale in una sola generazione, possono essere trasmessi alle generazioni future, senza modifiche del genoma con schemi di trasmissione complessi. La cosiddetta ipotesi di sviluppo fetale è stata confermata da vari studi epidemiologici e siamo ora praticamente certi che gli effetti negativi di una scarsa nutrizione materna durante la gravidanza per la salute in età avanzata tramandare alle generazioni successive.
Sappiamo che alcuni geni possono “mutare” per errori di trascrizione assumendo una forma in grado di produrre proteine modificate, che in talune circostanze diventano pericolose, in altre protettive, costituendo la base della evoluzione Darwiniana. L’epigenetica a questo punto è in grado di scombinare le carte: un alto apporto alimentare di composti “metilanti” in grado cioè di donare metili possono silenziare geni mutati negativamente ed impedire la loro espressione che porterebbe ad un fenotipo patologico. E’ così che topini nati da genitori transgenici e destinati all’obesità precoce e ad infarto prematuro e riconoscibili per il colore più chiaro del manto, a seguito di una dieta data alla madre in corso di gravidanza ricca di agenti metilanti come zinco, metionina, folati, vitamina B12, betaina, nascono con manto scuro, rimangono normopeso e non sviluppano infarto.
Questo famoso esperimento pubblicato una decina di anni fa spiega bene il fatto che un determinato manuale di istruzione faccia funzionare un sistema complesso come il corpo umano in modi diametralmente opposti a seconda di quali istruzioni vi sono scritte e che fattori ambientali possano modificarle. In teoria quindi invertendo lo stato spento di geni buoni o mettendo a tacere quelli cattivi, si potrebbe prevenire il cancro, rendere l'invecchiamento lento, arrestare l'obesità, e molto altro ancora.
Il problema è che con 20.000 geni, quello che sarà il risultato delle diverse combinazioni di geni accesi o spenti è in gran parte imprevedibile dato che le possibili permutazioni sono enormi!
Per capire meglio i meccanismi alla base dell’epigenetica questa analogia può essere utile. Immaginiamo la vita umana come se fosse un film destinato ad avere una durata piuttosto lunga. Le cellule rappresentano gli attori e le attrici, le unità essenziali che compongono il film. Il DNA, a sua volta, costituisce la sceneggiatura, ovvero le istruzioni per tutti gli attori del film con i vari compiti svolgere. Possiamo immaginare la sequenza del DNA come le parole che compongono la sceneggiatura, e i geni come alcuni blocchi di istruzioni chiave, vale a dire le scene principali del film. Se definiamo la genetica come la sceneggiatura del film allora ecco che l’epigenetica non è altro che il regista, un elemento decisivo per la riuscita del film, dato che a fronte di uno stesso copione di sceneggiatura lui può scegliere di eliminare alcune scene o enfatizzarle, influenzando in maniera decisiva il risultato finale del film. Il film diventerà più lungo o più breve, gradevole o sgradevole, proprio come la nostra vita. Dopo tutto, con la stessa sceneggiatura, il prodotto finito di Steven Spielberg sarebbe drasticamente diverso da quello di Woody Allen, non è vero?
“Nutrire il pianeta, energia per la vita”, questo è stato slogan di EXPO 2015. E l’energia di cui la nuova vita potrà disporre è la salute, non solo come assenza di malattie ma come sviluppo di tutte le proprie potenzialità fisiche e mentali. Ma questa “energia” è fortemente condizionata da quello che accade in un periodo breve ma speciale, da prima del concepimento ai primissimi anni di esistenza del nascituro. È questo il messaggio straordinario di questa nuova scienza oggi in rapido sviluppo, ma ancora poco conosciuta. Le condizioni di salute nutrizionale della giovane madre (ma anche quelle del padre), la qualità della sua alimentazione prima, durante e subito dopo la gravidanza, possono infatti condizionare in modo preciso e profondo lo sviluppo del bambino, determinando la qualità e la “robustezza” dei suoi sistemi biologici, il funzionamento di parametri chiave del suo metabolismo, e quindi in larga misura la sua salute fisica e mentale, per tutta la vita. Questi fenomeni sono condizionati da una corretta alimentazione durante la gravidanza che condiziona fortemente l’espressione genica del patrimonio genetico primario.
Fino a ieri, nessuno immaginava che si compissero, così presto, “scelte” così cruciali, dalle quali dipende la vulnerabilità soprattutto a obesità, malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2 e alcuni tumori, ovvero alle cause oggi più frequenti di disabilità di morte prematura.
L’epigenetica rappresenta una vera e propria rivoluzione culturale. L’ipotesi di Barker, ora suffragata da una vasta letteratura, mette in primo piano la nutrizione come determinante del destino delle future generazioni. Una vera e propria responsabilità etica.
Titolo: La salute come sfida: viaggio nel centro di Villa Santa Maria (2015)
Autore: Laura D'Incalci
Info: Rivista MAG, Aprile 2015
Titolo: In gravidanza i primi indizi di autismo. Intervista a cura di Fernanda Snaiderbaur. (2014)
Autore: Enzo Grossi
Info: Comparso come articolo su Prevenzione Oggi ( AIDO) anno XXIII n° 223 Dicembre 2014 pp. 29-33
Titolo: Novità scientifiche dalla ricerca internazionale sull’autismo (2014)
Autore: Enzo Grossi
Info: Newsletter Villa Santa Maria
Titolo: Microbiota intestinale e autismo: un’avventura a lieto fine… e una speranza! (2013)
Autore: Vittorio Terruzzi
Info: Newsletter Villa santa Maria
Titolo: Microbiota intestinale e salute (2013)
Autore: Enzo Grossi
Info: Newsletter Villa Santa Maria
Titolo: Esperienza pilota di teatroterapia a Villa Santa Maria (2013)
Autore: Enzo Grossi
Info: Newsletter Villa Santa Maria
Titolo: Autismo e arte-terapia: un progetto integrato a Villa Santa Maria (2013)
Autore: Enzo Grossi
Info: Newsletter Villa Santa Maria